L'arte di Elena Pongiglione, la mitica Pongi, illustratrice, pittrice, scrittrice è inesauribile e sempre più ricercata.
Pochi giorni fa, il 3 dicembre, a Milano, alla Casa del Manzoni si è inaugurata la Mostra delle tavole inedite dipinte da Elena Pongiglione per un'edizione illustrata dei racconti del libro " Lo zio prete" di Luigi Santucci, quasi all'inizio della sua attività.
La mostra, che può essere ammirata fino al 14 gennaio si è avvalsa dell'interessante testimonianza video dell'artista.
"Sono tavole che ho dipinto 50 anni fa" mi racconta la Pongi "mi erano state chieste per un'edizione illustrata del libro " Lo zio prete" " ma poi l'editore aveva preferito altre, più anonime...." continua con l'umiltà e l'ironia dei grandi "adesso i figli di Luigi Santucci le hanno recuperate e rimesse all'onor del mondo...."
Le tavole sono non solo belle, il tocco dell'artista originale e perfetto, le figure prendono vita sotto le sue mani, danzano, "parlano", ma fanno nascere il desiderio di scoprire o riscoprire Luigi Santucci, uno scrittore un pò dimenticato.
La personalità di Luigi Santucci, nato a Milano nel 1918 e morto nel 1999, amico di Eugenio Montale, Salvatore Quasimodo, Mario Luzi, Elio Vittorini spicca per la sua originalità.
Due sono i tratti del suo pensiero, che mi hanno colpito: lo sfuggire alle etichette e "la lode" della lode".
"Lo zio prete", una raccolta di racconti pubblicati nel 1951 dalle edizioni Medusa, illustrate poi in seguito, rieditato da Mondadori, gli valse l'etichetta di scrittore cattolico: " l'etichetta di scrittore cattolico, se incollata addosso sbrigativamente e puntigliosamente ( ed è da tempo il mio caso)" dichiara in un'intervista rilasciata a Piero Bianucci per la "Gazzetta del Popolo" nel 1972 "significa ben poco, serve ad alimentare confusione, pigrizia, archiviamento di personalità e problemi...."
E questo la dice lunga sulla profondità dello scrittore che disdegna il bisogno di etichettare dell'essere umano che riguarda non solo scrittori ed artisti, ma anche le persone comuni, come se avessimo il bisogno di mettere dei confini, delle etichette per arginare ciò che ci è sconosciuto.
Invece di affondare nell'animo umano si preferisce definirlo con una parola, una frase...si vuole limitarlo....
Luigi Santucci registrò, poco prima di morire, un testamento spirituale per i figli: "Se dovessi sintetizzare in un'espressione il mio essere stato scrittore, credo che sarebbe questa: che scrivo per lodare.....la lode come linguaggio non per salvare il mondo ( per guarirlo ci vuole altro) ma perché recuperi una qualche fiducia in se stesso, perchè esca dall'autodisprezzo e dalla disperazione e ritrovi l'amabilità...."
Quanta verità nelle parole dello scrittore, vincitore nel 1967 del Premio Campiello con " Orfeo in Paradiso", quanto amore per il mondo e per la scrittura....
La lode come riconoscimento della bellezza della vita.
Viene proprio il desiderio di riscoprire le opere di Luigi Santucci ( in occasione di questo evento era disponibile il IV volume delle sue "Opere", Nino Aragno editore) così come sono state riscoperte le bellissime tavole di Elena Pongiglione: si è intrecciata , con la pittrice e lo scrittore, la bellezza dell'arte immortale.
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