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Casamassella…

Casamassella, nel Salento , una frazione di Uggiano La Chiesa, poco distante da Lecce, qualche chilometro da Otranto e Badisco , un gioiello di mare, è una delle prime bellezze italiane che ho conosciuto , dopo Genova, Napoli e Roma, quando sono arrivata dal Brasile, paese dove siamo nati io, mia sorella Angioletta e mio fratello Vittorio, del tutto casualmente, da genitori italiani. Mio padre, Filiberto Mariani, andò in Brasile per lavoro, era ingegnere, e si innamorò di quel paese, mia madre, Maria Gemma Caccioppoli, napoletana, nipote del grande matematico Renato Caccioppoli, ha sempre avuto vivo il desiderio di tornare in Italia per riunirsi alla famiglia, e così facemmo intorno agli anni sessanta. Lasciando alle spalle le case bianche di Casamassella con il suo pugno di abitanti, si arrivava a Villa Carmosina, adagiata nel verde, lì viveva Lucia Starace, cugina di mia nonna, Rosa Starace, con l’unica figlia Costanza. Arrivai alla villa con la nonna, voleva farmi conoscere quei posti che l’avevano vista ragazza felice trascorrere giorni spensierati con le amatissime cugine in uno scenario spettacolare. Alberi secolari circondavano la grande casa, filari di rose che zia Lucia, di primo mattino, andava a potare e ad accudire brandendo le forbici da giardiniere, come se fossero un trofeo, indossava lunghe gonne nere, forse in segno della sua vedovanza (anche se si era separata molti anni prima dal marito), ai piedi portava grandi scarpe nere da contadino. Certe volte la vedevo sbucare dai filari trionfante con un fascio di meravigliose e profumatissime rose rosse, rosa, gialle, fra le braccia, orgogliosa delle sue " creature", come le chiamava. In quella terra trascorsi tre mesi di vacanza beati e spensierati fra campagna e mare, affascinata dai personaggi che popolavano quei luoghi incantati e che mi sembravano usciti da un libro di fiabe. Lucia e la sorella Giulia, figlie di Carolina De Viti De Marchi, sorella del luminoso economista Antonio, sposata Starace, avevano una personalità straordinaria, ma ancora di più, se possibile, l’aveva zia Carolina. Aveva quasi 100 anni quando la conobbi, morì a 102, ed era una deliziosa vecchina con in capo una cuffietta, solitamente rosa, allacciata con un fiocco di seta sotto il mento e uno scialle, rigorosamente sempre dello stesso colore della cuffia, sulle spalle. Vivace e lucidissima, partecipava alla vita di contadini e familiari seduta in giardino su una poltrona di vimini , portata a braccia: l’unico guaio della sua veneranda età era di non poter più camminare. Zia Carolina viveva poco lontana da Villa Carmosina, a Villa Kalamuri, con la figlia Giulia, che non si era mai sposata. Da giovane si appassionò all’arte del ricamo, spronando le ragazze di Casamassella, Uggiano La Chiesa e dintorni a cimentarsi in quell’arte per imparare un mestiere. Lucia e Giulia quando le ho conosciute , avevano circa settanta anni ed avevano una invidiabile vitalità e vivacità mentale e fisica. Zia Lucia, con una grande testa di capelli ricci e grigi raccolti in uno “chignon” poco ordinato ( i ricci scappavano da tutte le parti), si inoltrava con passo svelto fra le sue amate piante, correva in cucina a controllare la cottura delle marmellate confezionate con la frutta di cui erano carichi i suoi alberi (ero così ghiotta di quella di arance amare che Costanza continuò a farmele recapitare a Roma anche da grande!) o strappava con energia le erbacce dai campi nonostante i numerosi contadini fossero all’opera. Non l’ho mai vista camminare con lentezza, il suo passo era deciso, veloce, come era veloce la sua testa, quando non era impegnata in lavori manuali, leggeva, traduceva dall’inglese, dipingeva, disegnava, studiava nuove tecniche per la tessitura. Il mio amico, fedele compagno delle scorribande nel grande parco alla ricerca di chissà quali straordinarie scoperte, era Argo, uno splendido cane dalmata, che Costanza aveva preso qualche mese prima del mio arrivo a Villa Carmosina. Era un cucciolo magnifico e la nostra intesa fu perfetta, mi cercava quando non c’ero ed io andavo alla sua ricerca appena tornavo alla Villa. Alcuni pomeriggi, di ritorno dal mare dove i miei dieci anni non si saziavano mai di tuffi in quell’acqua di un blu talmente intenso e variabile che era difficile definirne il colore, terminato il girovagare tra le calette sorprendenti con un gozzetto messo a disposizione da Lucia e Costanza per soddisfare la mia voglia di mare ( un abile e fidato pescatore reggeva con destrezza il timone), soddisfatta la mia fame da ragazzina con le mitiche “freselle” pugliesi accompagnate da gustosi pomodori, il tutto insaporito dall’acqua di mare, mi facevo lasciare da Mario il factotum, autista, uomo di fiducia della famiglia, che era solito riportarmi a casa dopo i bagni, davanti ai cancelli di Villa Kalamuri e mi inoltravo nel parco. Trovavo zia Giulia circondata da persone alle quali insegnava o dispensava consigli e aiuti, in mezzo ai suoi telai, o intenta a studiare metodi pedagogici. Le due sorelle si assomigliavano nel fisico, occhi neri e penetranti, naso aquilino, gli stessi capelli e modo di pettinarli, entrambe avevano ereditato dalla madre il dono e il desiderio di aiutare gli altri: Lucia, giovanissima, a 18 anni andò in Sud Africa ad insegnare l’arte del ricamo alle donne africane, Giulia dedicò molto della sua vita ai viaggi per arricchire le sue conoscenze, ma l’amore per gli altri la portò soprattutto a a curare i disabili ed ad aiutare chiunque avesse bisogno, il suo desiderio era che tutti i bambini del luogo andassero a scuola. Quando arrivai in quelle oasi ero una bambina, ma ricordo chiaramente il rumore dei telai sempre all’opera, i sorrisi gentili delle donne intente al loro lavoro che mi parlavano con il loro musicale dialetto pugliese per me sconosciuto ( da grande ho imparato a “tradurre” quella dolce lingua), a volte scherzavano, rivolgendomi, per farmi sorridere, parole incomprensibili, mentre tessevano tappeti ed arazzi di rara bellezza. L’odore del mare vicino, mischiato a quello della campagna, dei pini, dei cipressi e delle rose era particolare e inebriante. Si coltivava anche il tabacco nei campi vicino alle ville e, con mia grande gioia, mi venne accordato il permesso di camminare in mezzo ai filari dove i contadini raccoglievano le foglie di tabacco ed io, ogni tanto, ne prendevo una per sentirla scrocchiare nelle mani sbricciolandola e odorandola, il rumore di quelle foglie seccate al sole, mi è rimasto nelle orecchie. Zia Carolina aveva il sorriso di chi è arrivato alla fine della vita con il più grande dono: la serenità. Mi fece cucire, dalle sarte di Casamassella, un vestito giallo che mi piaceva così tanto che l’ho portato fino a quando è stato possibile, avrei voluto smettere di crescere per continuare ad indossarlo. Mi diceva, con la sua dolcezza, che con quel vestito sembravo un sole. Tornai ventenne a Villa Carmosina, il fascino di quei luoghi era rimasto intatto. Mi addentrai nel giardino dove aspirai con voluttà il profumo forte delle rose, l'odore dei cipressi di quella terra antica. Zia Lucia non c'era più, Costanza la figlia si occupava della proprietà, ma rivedevo la sua figura con le cesoie in mano che tagliava le rose e il suo passo svelto, con la limpidezza di allora. Dietro di me il cane Argo, che mi aveva accolto all'arrivo, scodinzolava come se fosse tornato cucciolo. Villa Kalamuri è diventata la Fondazione Le Costantine , senza scopo di lucro, dove si svolgono attività artigianali ( la tessitura ha raggiunto livelli artistici notevoli e famosi in tutto il mondo), agricole e pedagogiche. L’agricoltura è rigorosamente biodinamica perché, in tempi in cui la coltivazione biologica non era quasi conosciuta, le indomite donne Starace la studiavano e mettevano in atto. L’intelligenza, la bontà, la capacità e la voglia di fare di tre donne antesignane, spinte dalla curiosità, dal desiderio imparare e dall’amore per il prossimo, vive e prospera in questa parte di terra pugliese : la semina di zia Carolina, Lucia e Giulia continua a germogliare.

Con l'adorato cane Argo!
Con Costanza, la figlia 
di Lucia Starace… 
pronti per il mare!
A Villa Carmosina

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